Qualche sociologo l’ha definita la tempesta perfetta.
Per i suoi effetti sulla salute, sulle abitudini sociali, sullo stato psico-fisico delle persone, sulla cultura e sull’economia mondiale il famigerato COVID-SARS COV 2 più che una pandemia ha in realtà provocato una sindemia. Ovvero “quell’insieme di problemi di salute, ambientali, sociali ed economici prodotti dall’interazione sinergica di due o più malattie trasmissibili e non trasmissibili, caratterizzato da pesanti ripercussioni, in particolare sulle fasce di popolazione svantaggiata” (fonte: Treccani). Con un effetto moltiplicatore senza precedenti sul benessere psichico. E sulle nostre emozioni.
Emozioni fluide.
Mai come in quest’anno le emozioni si sono accavallate e susseguite una dopo l’altra senza un’apparente linearità. Una sequenza di alti e bassi, senza precedenti. Riuscire a comprendete e interpretare correttamente le emozioni delle persone per rendere più rilevanti e significativi i messaggi di marketing dei nostri clienti è stata una fatica.
Non so quali emozioni ti abbiano guidato, ma posso assicurarti che siamo passati dalla paura del contagio alla curiosità per l’andamento della sindemia; dalla frustrazione per la situazione ingovernabile alla rabbia per il futuro drammaticamente incerto; dal disprezzo verso la situazione quotidiana fino alla gioia euforica di questi ultimi giorni, generata dall’apertura dei “cancelli” che ci fa sentire così liberi tutti!
E il marketing – lo avrai certamente notato – ha provato a star dietro a questi mutevoli scenari. Le parole emotive si sono sprecate, gli slogan sono fioccati, la retorica ha generato messaggi simili, omologanti e, alla fine, sempre meno rilevanti.
Tutti a dire le stesse cose, tanto che non se ne può più. Nella gente è già scattato il momento del disgusto e rifiuto verso terminologie facili e positive come “fiducia”, “ce la faremo”, “ottimismo” che, dunque, devi evitare accuratamente nelle tue strategie di comunicazione.
L’emozione dell’anno.
Tutto questo ci porta a quella che probabilmente sarà l’emozione dominante di questo 2021, con cui dovrai fare i conti anche tu nello sviluppare le tue strategie di marketing.
Sebbene sia palpabile la voglia di riscatto e il legittimo desiderio di voler tirar fuori dal cassetto abitudini pre-sindemiche, è pur vero che stiamo tutti affrontando un periodo depressivo, in cui le relazioni rarefatte e distanti hanno instillato una sensazione di disagio latente e una certa fatica cognitiva, spesso fisica, che ci fa affrontare le cose non con l’energico entusiasmo che ci si aspetterebbe ma, piuttosto, con languida indolenza.
Adam Grant è uno psicologo organizzativo americano, tra le altre cose conduttore del podcast #TED “WorkLife” e autore del libro “Think Again: The Power of Knowing What You Don’t Know”. In un interessante articolo pubblicato sul New York Times ha parlato di languishing, che potremmo tradurre con languire. È il sentirsi senza gioia e senza scopo, provando un senso di stagnazione e vuoto, e di leggero ottundimento.
Se nei primi giorni incerti della pandemia eravamo iper-energici grazie al lavoro incessante dell’amigdala – che ha il compito, fra gli altri, di tenerci in allerta verso possibili minacce -, successivamente il senso di terrore si è spento e ha dato il via alla condizione cronica del languire.
Come descrive Grant: “Languire è il figlio di mezzo trascurato della salute mentale. È il vuoto tra depressione e fioritura. È l’assenza di benessere. Non hai sintomi di malattia mentale, ma non sei nemmeno l’immagine della salute mentale. Non stai funzionando a pieno regime. Languire offusca la tua motivazione, interrompe la tua capacità di concentrazione (…) Parte del pericolo è che quando stai languendo, potresti non notare l’ottundimento della gioia o la diminuzione della spinta. Non ti sorprendi a scivolare lentamente nella solitudine; sei indifferente alla tua indifferenza”.
(pare che la risposta a questa condizione sia la fioritura, concetto altrettanto interessante: ne parliamo in un prossimo post? 😊)