Lo so, sto per deluderti.
Già ti vedo mentre neghi l’evidenza, considerandomi alla stregua di un convinto sostenitore dell’Area 51 e dell’esistenza di esseri verdognoli su questo nostro mondo.
È che proprio non posso fare a meno di dirtelo: le decisioni che prendi le ha già prese ben prima di prenderle.
Tranquillo, non si tratta di una filastrocca né di una teoria aliena, ma della verità: le zone del nostro cervello in cui avviene la scelta si attivano prima che noi arriviamo a una consapevolezza della medesima. Vale a dire: le decisioni esistono prima che tu le prenda!
Leggendo questo blog, anche tu come noi – che, ogni giorno, cerchiamo di comprendere meglio i meccanismi del cervello per applicarli al Customer Minding – hai intuito quanto, sotto sotto, siamo spinti da scelte e decisioni emotive, nonostante millantiamo ai quattro venti di essere creature razionali. È orami acclarato da studi neuroscientifici che i giudizi inconsci precedono sempre quelli consapevoli. Anzi: li guidano!
D’altronde, come spesso accade in questi casi, tutto risale al nostro io più antico, quello che ancora tiene memoria di un passato cavernicolo fatto di stenti e votato alla mera sopravvivenza. Di quando, mentre eravamo romanticamente a zonzo con un’affascinante Sapiens Sapiens, ci capitava di imbatterci in un rettile bramoso di abbracciarci mortalmente: la razionalità ci aiutava poco, era l’istinto la risorsa! la sola capace di spingerci a reagire rapidamente (e a gambe levate)!
Ancora oggi, tante delle nostre azioni apparentemente consapevoli sono determinate prima.
Torniamo al serpide di cui sopra: hai mai fatto una camminata in montagna in compagnia di amici timorosi delle vipere? Ti assillano, ti domandano, scrutano. E tu, involontariamente, con loro. La visione di un qualcosa di vagamente somigliante al rettile accende l’amigdala, l’area sub-corticale legata all’evocazione di particolari sentimenti. Lei scatena una reazione protettiva: per questo, ci blocchiamo, oppure – come l’hominide – fuggiamo a gambe levate. Tutto accade in frazioni di secondo, e secondo un meccanismo complesso, incontrollabile e di cui solo dopo ci rendiamo razionalmente conto. Il cuore ci batte nel petto, ma nessun pensiero consapevole gli ha dato il ‘la’. Il fiato è corto, ma mica abbiamo pensato di trattenere il respiro…
La coscienza, dunque, è fallace, soprattutto se usata nel marketing. Indubbiamente, una buona e ben fatta ricerca sul consumo ci può dire molto dei motivi consci che spingono certe scelte. A patto però che tu non prenda decisioni senza aver soppesato – questa volta sì molto razionalmente – che i pensieri coscienti non ti potranno mai spingere dove vuoi arrivare dal momento che l’attività conscia è stimata essere solo il 5% della conoscenza umana.
Capisci perché è importante capire cosa ci sta sotto?
Quando usi metodi di ricerca tradizionali, devi poi integrare con osservazioni non percepibili né dichiarabili, e di solito molto poco visibili. Pensa a qualche spintarella decisionale dovuta a tutt’altro che alla razionalità:
- si vendono più prodotti con prezzo a 0,99 che a prezzo pieno
- l’effetto placebo dei medicinali è stimato influenzare il risultato del 35%
- preferiamo avere il 10% di probabilità di vincita, che il 90% di probabilità di perdita
Noi viviamo perennemente in una realtà del tutto personale che costruiamo sulla base di poche, a volte pochissime informazioni. Prendiamo decisioni in base a ciò che vediamo – spesso senza razionalizzarne la fallacia.
Su questo poggia la forza del branding – e, lasciami aggiungere, di una Customer Experience ben progettata: farci prendere decisioni, facendoci sentire il beneficio prima ancora di averlo effettivamente ricevuto. In continuità con precedenti esperienze.
Per questo, quando vedi la tua bevanda di marca preferita, avverti sensazioni che non esistono realmente, ma che sono ricostruite, completate dal cervello. E decidi di berla.