Da vent’anni sono immerso nel mondo della comunicazione. Ho sempre percorso, in parallelo e su diversi progetti, due strade. La comunicazione giornalistica da una parte, dove la logica è quella dell’informazione, che ha il suo focus sul dato reale e costruisce una narrazione che sia chiara e trasmetta contenuti. La comunicazione pubblicitaria dall’altra, dove il focus è invece il cliente/consumatore, il soggetto è il prodotto, e gli strumenti hanno visto, in soli due decenni, una mutazione senza precedenti. Sia dal punto di vista del linguaggio, sia dal punto di vista dei canali.
Un doppio registro le cui strade si sono ripetutamente incrociate, contaminate, spesso hanno coinciso, arrivando a una deflagrazione negli ultimi anni, quando con la pervasività totale del mainstream comunicativo – consumatori sempre connessi, uno spettro di contenuti sempre più ampio e multicanale, la combinazione di smartphone e social netwkork che hanno cambiato regole e forme della fruizione – siamo arrivati a un punto di non ritorno. L’overload informativo è diventato un nonsense informativo. Ciascuno di noi riceve e risponde a una media di 20 mail al giorno (media sul totale della popolazione italiana), trascorre 50 minuti al giorno su Facebook, naviga sul web per 2 ore e 6 minuti. Migliaia di informazioni, spezzettate, senza una logica, spesso fuori contesto. Tutto questo qualche influsso sul cervello e sulla percezione lo sta portando.
Reagire agli stimoli
Le vecchie formule di comunicazione sono state superate dagli stessi strumenti che le veicolano, e soprattutto si è verificata un’accelerata mutazione percettiva da parte del «pubblico»: che sia il lettore di un giornale o il navigatore di un sito, che sia il target di un messaggio pubblicitario tradizionale o di una campagna di social marketing, poco cambia. Il cervello dell’utente, per sopravvivere e non soccombere, ha inconsciamente imparato a filtrare immagini, messaggi, suoni, stimoli. Una sorta di strategia difensiva delle cellule neuronali che ha mandato in soffitta quintali di assodate strategie di comunicazione.
Secondo quali meccanismi inconsci il cervello, oggi, acquisisce e filtra le informazioni? Come si combinano a livello neuronale i diversi stimoli di comunicazione – parole, suoni, colori, forme, odori – nel produrre una reazione cosciente e volontaria? Quale relazione si può instaurare tra scienze cognitive, creatività e narrazione? In sintesi, quali possono essere le nuove regole per costruire un messaggio che sia portatore di senso da una parte, ma soprattutto che inneschi un meccanismo di risposta positiva? Siamo sulla frontiera del cambiamento, bisogna aprire strade nuove.
Neuroscienze e smart data
Questo blog nasce con poche certezze, ma con una grande pretesa. Andare oltre le assodate ma sempre meno efficaci regole della comunicazione e costruire post dopo post, contributo dopo contributo, una nuova teoria della comunicazione che riparta dai fondamentali della percezione umana, ridando una base scientifica, ovvero neurologica, alla narrazione e al suo impatto sul nostro ascoltatore. Far fare alla customer experience il salto di qualità verso la teoria che proviamo a chiamare customer minding: un nuovo metodo ideativo che opera combinando le recenti scoperte delle neuroscienze con creatività, psicologia e matematica predittiva. È qualcosa di più ampio e più efficace del neuromarketing. Non è importante «ingannare» il cervello del nostro ascoltatore giocando con i suoi meccanismi percettivi, ma vogliamo comprendere i percorsi neuronali per metterci a parlare il loro stesso linguaggio. Stabilire, insomma, un nuovo, innovativo, e per questo più efficace, filo di comunicazione.
Le nuove neuroscienze sono in grado di chiarire definitivamente i modi in cui il cervello dei mammiferi genera gli stati emotivi. Per i neuroscienziati, la grande sfida è quella di comprendere, come sottolinea Jaak Panksepp in “Archeologia della mente. Origini neuro evolutive delle emozioni umane” (Raffaello Cortina Editore), l’elaborazione che sensazioni, emozioni e affettività subiscono nel loro percorso attraverso le strutture più antiche del cervello fino a pervenire alle loro forme più sofisticate nel neocervello. Questi «antichi territori neurali sono le fondamenta su cui è stata edificata la nostra mente ancestrale, ossia la nostra mente emotivo-istintuale, che» secondo Panksepp «condividiamo con altri animali».
Non è necessario, per questo, l’ennesimo blog di scrittura creativa, o di storytelling. Serve uno spazio che vada oltre la comunicazione e si apra a discipline in grande crescita come le neuroscienze, le scoperte in corso sulle reti neuronali, l’applicazione alla comunicazione informativa e commerciale di strumenti nuovi come il neuroimaging funzionale, cioè l’analisi attraverso strumentale delle reazioni della corteccia cerebrale a determinati stimoli, abbinate a test sperimentali basati sull’eye tracking. Per chiarire i meccanismi percettivi del cervello, andare alla radice delle emozioni e della loro combinazione in una reazione razionale.
Le emozioni sono potenti stati della mente che “governano” ciò che facciamo, ci aiutano a capire gli altri e chi siamo. Le neuroscienze, grazie alle spettacolari metodiche di brain imaging, hanno dimostrato che le antiche regioni cerebrali dei mammiferi contengono almeno sette sistemi affettivi di base: ricerca, paura, collera, desiderio sessuale, cura (attaccamento), panico (sofferenza, tristezza), gioco. Questi sistemi indicano specifici circuiti cerebrali formati da regioni antiche del cervello.
È poi necessario cominciare a mettere a sistema tutti i dati e le informazioni che questi nuovi strumenti di brain searching ci mettono a disposizione. Per questo, nel blog, proveremo a legare i sue ambiti, quello della comunicazione e quello delle neuroscienze, un terzo mondo, quello dell’analisi matematica, i percorsi che consentono di mettere a sistema gli smart data che emergono dallo screening neurologico.
La quantità dei messaggi, e la potenza garantita dagli strumenti oggi a disposizione per veicolarli (i sistemi di programmatic advertising, per esempio) ha spinto in secondo piano il valore qualitativo della comunicazione. Si spara a pallettoni, e nel mucchio, perché più semplice forse di imparare a prendere al mira, fiutare il vento, scegliere quello che vuoi dire e a chi. Per chi fa comunicazione questa è una sconfitta.
La scelta di combinare discipline prettamente scientifiche nel processo creativo e di comunicazione del Customer Minding può sembrare un’alchimia fredda, una razionalizzazione assoluta della comunicazione. E invece è proprio il contrario: è il desiderio di tornare a trovare in ogni parola, suono, colore, immagine, vibrazione, gestione dello spazio e del tempo la sua radice più umana, quel mix di razionalità e dna animale che ci ha portato in decine di millenni di evoluzione, a essere quello che siamo, pensiamo, percepiamo. Dopo l’ubriacatura di messaggi e di device, l’aspetto stimolante di questa sfida sta nel ritornare ai principi della comunicazione. Perché qualcosa, intorno a noi, è cambiato.
MINDIN / Neuroscience in customer experience – ©2017