Questo post di fine anno prende a prestito il titolo di un film del lontano 1983 (37 anni!) che la mia generazione ben ricorda.
In puro stile hollywoodiano-catastrofico, la pellicola “The Day After” spettacolarizzava una devastante esplosione nucleare in suolo americano, seguita da un’invisibile onda radioattiva che polverizzava vite e travolgeva l’esistenza dei sopravvissuti.
Vedevi ospedali al collasso, schiacciati dall’improvvisa affluenza di feriti e incapaci di curare qualcosa di mai sperimentato prima.
Osservavi politici frastornati, totalmente in balia degli eventi e burocraticamente avviluppati nella propria inettitudine, sia nel gestire l’emergenza che nel progettare il dopo.
Ti immedesimavi in persone allo sbando, senza più certezze e appigli, annichilite da emozioni bloccanti come la paura, l’angoscia, il panico, private di qualsiasi immaginazione di un domani diverso.
Fino all’ultima scena. Quando la nascita di un bambino riportava, nel dramma di quel presente, il futuro.
Non so a te, ma a me pare la narrazione di questo 2020.
Abbiamo vissuto un diverso tipo di esplosione che ha propagato – sta propagando – una sua invisibile e letale ondata, sconquassando gli ospedali, la politica e le nostre vite. Bloccando il lavoro, la socialità, l’economia. Facendo riesumare vocaboli del passato come “coprifuoco”, “lockdown”, “zona rossa”.
Le emozioni sono state le vere protagoniste di quest’anno: apprensione, paura, angoscia, terrore, tristezza, rabbia, euforia (estiva), voglia di rivalsa, spaesamento, incertezza, speranza.
Fino a oggi. La campagna vaccinale è l’ultima scena di questo film del 2020.
Una scena concreta, potente, reale.
Che nulla a che fare con la stucchevole retorica di marketing vista fra marzo e maggio, passata senza aver lasciato alcuna traccia nel DNA delle marche che l’hanno promossa e che sono rapidamente tornate a mostrare alberelli luminosi, volti sorridenti, felicità regalosa. È finito (troppo presto) il tempo degli eroi, degli slogan tipo “andrà tutto bene”, dei balconi solidali, e il marketing è tornato al passato, alle sue pillole evasive.
Il 2020 ci insegna che giocare con le emozioni facili non genera valore. Le emozioni, contrariamente ai sentimenti, sono per natura labili e fugaci, valide per accendere una fiammata ma inefficaci per consolidare un rapporto solido fra marca e consumatore.
Per questo il marketing deve evitare le facili scorciatoie del presente e sempre puntare avanti, al futuro: adesso può muoversi decisamente verso la ricostruzione – un altro vocabolo post-bellico – fisica, psichica ed emotiva delle persone.
Le marche possono – anzi, devono – mettere al centro il nostro domani; come hanno fatto in epoche passate, possono ispirarci e indicarci la via verso il nuovo che ci aspetta: tutto da scoprire, da progettare e modellare, da cogliere (anche grazie a loro).
Vacciniamoci contro l’incapacità di vedere il futuro.
Contro l’attuale diffuso atteggiamento passivo-attendista, l’arrivo del vaccino simboleggia e rende possibile rimettere un diverso futuro al centro delle nostre strategie di coinvolgimento delle persone, per puntare al domani con ottimismo (emozione) e fiducia (sentimento).
Have a great 2021, our year after.